LA POSSIBILITA’ DI SBAGLIARE – L’IMPORTANZA DELLA PRATICA NEI GIOVANI

Ci avviamo verso la fine del secondo decennio degli anni 2000 e la società in cui viviamo corre a testa bassa verso l’innovazione. La curiosità del nuovo, la voglia di possederlo e/o di conoscerlo, è una costante di tutte le nostre giornate. Che sia a lavoro, a casa con la famiglia, o a cena con gli amici, tutti noi desideriamo conoscere e aggiornarci su tutte le novità che ci circondano e che sistematicamente, escono fuori. Se ne parla, ci si confronta… si scopre… in qualsiasi settore ed in ogni modo.

Compriamo l’ultimo modello di una macchina o di una moto, e già pensiamo che probabilmente dopo qualche mese ne uscirà un altro ancor più nuovo. Esce una scarpa e già deve essere nostra, prima degli altri, e appena ne esce una ancora nuova il nostro unico desiderio è averla.

Questo modo di vivere e di essere è un meccanismo automatico e normale a cui ci ha portato la nostra società grazie all’innovazione. La scienza e la tecnologia corrono veloci ed anche nel Calcio passano le stagioni e c’è sempre qualche novità. Prima l’arrivo dei procuratori e degli sponsor, poi l’avvento dei diritti tv che condizionano oramai tutti i calendari dei nostri campionati, per arrivare ai giorni nostri, con l’uso della panchina lunga, e del famosissimo VAR.

Tempo fa sentivo dire in un incontro universitario che non si finisce mai di studiare, di conoscere, di aggiornarsi. Si impara sempre ogni giorno. Si apprende. Io credo che questa affermazione oggi è ancor più esatta, esistono tantissimi modi per aggiornarsi quotidianamente, per migliorarsi, per confrontarsi ed imparare da tutto e dagli altri. La rete internet è a nostra disposizione 24 ore al giorno per qualsiasi ricerca o informazione. Esistono anche tantissimi libri e rubriche su qualsiasi argomento. Esistono corsi specializzati privati di qualsiasi tipo che ti permettono di portare a casa un’esperienza, o addirittura un Titolo.                                                                                                                                                                                                                                                       Tutto questo è fantastico ed è assolutamente da cogliere. Se mi fermo due minuti a pensare se ci abbia aiutato anche nel calcio, nei valori dello sport, così come nelle abilità psico-sociali, nella conoscenza del nostro corpo e di noi stessi, bè, faccio fatica a pensare che sia così.

Perchè? Perchè l’uomo è la più fantastica e perfetta creazione fatta da Dio, ma nello stesso tempo è quella meno intelligente e soprattutto, è la più vigliacca. Il troppo, il tutto, ci ha portato a quello che siamo oggi. Ora soffermiamoci a ciò che ci riguarda di più. Soffermiamoci al discorso sport, o meglio, parliamo del Calcio degli anni 2000/2020.

Oggi abbiamo un campo da calcio ogni 5-10 km, due o tre squadre in ogni paese, da cinque a dieci società nella stessa città. Nelle strutture a disposizione delle società sportive ogni giorno si devono allenare tantissimi gruppi, suddivisi dalle 14.30 alle 23.00 in metà campo ogni ora e mezza.

Dove voglio arrivare? Voglio parlare delle motivazioni percui i nostri giovani non riescano più ad arrivare nelle prime squadre, a fare i professionisti ad alto livello, a diventare dei campioni. Salvo qualche eccezione straordinaria grazie a madre natura.

I nostri giovani calciatori, sin dalla tenera età, vengono abituati a fare attività 1h e 30 ad allenamento per un massimo di 2/3 giorni a settimana, questo nelle migliori delle ipotesi. Un minuto prima dell’allenamento il campo è occupato, un minuto dopo la fine, il campo è occupato. Finita la seduta si torna a casa, chi a fare i compiti, chi a giocare alla play station, chi a mangiare merendine e succhi di frutta, oppure c’è chi va al centro commerciale a comprare qualcosa di nuovo, o a fare una passeggiata, perchè magari fuori fa freddo. Se qualche addetto ai lavori non si riconosce in questa descrizione di giornata-tipo, è un predestinato fortunato.

In una settimana il nostro ragazzo svolge attività motoria quattro ore e mezza e si “riposa” in altre “attività” 164 ore. Il nostro allenatore in un’ora e mezza di campo, spesso da solo con 20-25-30 ragazzini, deve:

1) preparare il campo per le attività da svolgere.

2) fare allenamento.

3) liberare il campo per il gruppo successivo.

Rifacciamo un rapido calcolo: dieci minuti per preparare il campo, cinque minuti per togliere tutto, rimane per il nostro allenamento un’ora e un quarto. Inoltre bisogna fare le squadre o dividere in gruppi i ragazzi, c’è da spiegare le esercitazioni e si arriva a perdere minimo altri dieci o quindici minuti, e rimaniamo con una sola ora di attività a disposizione e con trenta minuti di tempi morti. Quindi i nostri allievi si alleneranno 2/3 ore settimanali su 168 ore a disposizione. Per un totale di 10/12 ore mensili. Senza considerare il problema che il 99% delle società dilettantistiche affidano i propri gruppi di ragazzi a pseudo-allenatori senza formazione, che magari hanno militato per tantissimi anni nella prima squadra della società. Oppure si affidano all’esperienza di allenatori “datati”, che hanno vissuto un calcio diverso e che conoscono metodologie di allenamento ormai superate e che anzichè essere utili possono risultare inefficaci ed a volte anche dannosi. Ovviamente il tutto per risparmiare qualche spicciolo. Come se i nostri ragazzi siano un peso economico per le nostre società.

Prima non esistevano tutti questi campi, tutte queste società, palloni di ultima generazione, casacche e attrezzature di ogni tipo, ma esisteva una cosa fondamentale. Il tempo.

La mia generazione e quella ancora più datata della mia, le 10/12 ore di allenamento/gioco, le facevano in 2 pomeriggi post scuola. Dalle 15 alle 20. Nella piazza sotto casa, nel campetto senza porte in mezzo al paese. Non importava se si andava in 2, in 3, o in 8 o in 10,  si andava lo stesso, si portava un attrezzo che potesse fungere da sfera, e si giocava a calcio/calci. Tutto il pomeriggio. Provate a pensare quante volte capitava di dover eseguire un gesto tecnico o coordinativo in un pomeriggio intero. Quanti arresti magari anche orientati per fare gol o superare un avversario? Quante finte? Quanti dribbling ed 1 contro 1? Quanti tiri in porta? Quanti passaggi al compagno? Quanti contrasti?

Penso che non ci sia bisogno di altre spiegazioni per capire quanto siano fondamentali le ore di pratica nell’esecuzione esatta di un gesto tecnico. La ripetizione del gesto è l’unica pratica necessaria per ottimizzare l’esecuzione.

Ma torniamo ad oggi, cosa fa un allenatore/istruttore che ha così poco tempo per lavorare con i ragazzi?

La risposta è che fa un pò di tutto, velocemente. Questa risposta ovviamente non può che essere negativa ai fini dell’apprendimento e della crescita dei giovani calciatori. Il Mìster proporrà risposte alle domande, darà soluzioni ai problemi, senza aspettare che sia il ragazzo a trovarle. A livello cognitivo, e a livello neurale inconscio, il nostro allievo non svilupperà quelle abilità che potrebbe e dovrebbe acquisire e che gli servirebbero per il suo futuro per non avere problemi in qualsiasi ambito e in qualsiasi situazione di gioco. In ogni momento di difficoltà cercherà aiuto negli altri anziché in se stesso. Stiamo creando insicurezza, stiamo creando macchine che hanno bisogno di input continui. Sicuramente non stiamo creando giocatori o futuri campioni.

I nostri allenatori hanno un altro problema, il risultato! È un chiodo fisso per le società e per gli allenatori stessi. La prima domanda che fa il presidente ad un allenatore a fine partita è:  “Cosa abbiamo fatto? Perchè? Questo porta i nostri allenatori a puntare molto sul risultato di squadra senza porgere l’attenzione troppo sul singolo elemento. Sin dalle categorie esordienti, sento con le mie orecchie “istruttori” che chiedono di fare schemi, che bloccano dei ragazzi nel proprio ruolo difensivo rimanendo in un fottuto modulo di gioco fisso. Sento spesso la richiesta di giocare a 1 tocco, massimo 2 tocchi, a ragazzini di 9-10-11 anni. Sento le frasi: “spazzala via”, “falla cantare”, “lancia lunga non giocarla”.

Fatemi capire, negli anni più importanti della crescita dell’abilità tecnica, limitiamo i nostri ragazzi a giocare di prima, anzichè spingerli a fare dei controlli orientati, dei duelli 1 contro 1, dei dribbling, delle giocate importanti. Priviamo questi ragazzi di provare uno scarto con tiro in porta, perchè il gol vale solo di prima? Forse perchè se un ragazzino prova un dribbling e perde palla in una zona pericola del campo poi prendiamo gol? Perdiamo una partita pulcini o esordienti o giovanissimi e facciamo una figuraccia come “allenatori” e si arrabbia il presidente?

Tutte queste parole semplicemente per sensibilizzare tutti, per far ragionare i nostri presidenti, i nostri allenatori, i genitori dei nostri ragazzi. Riportiamo i nostri ragazzi a giocare con gli amici per la strada, facciamogli fare attività tutti i giorni, facciamogli fare anche più sport contemporaneamente. Svilupperanno le loro capacità coordinative nelle loro età sensibili e svilupperanno al massimo le loro abilità. Facciamoli giocare tanto, correre, divertire. E soprattutto lasciamoli liberi di sfogare la loro fantasia, lasciamoli provare le giocate dei loro miti, lasciamoli che perdano palla e che prendano un gol per quell’errore. Lasciamoli sbagliare, sbagliare e sbagliare… lasciamoli capire.

Abbiamo detto che “non si smette mai di imparare” ma sono sicuro che un’altra verità che non morirà mai è:

Sbagliando si impara“.

Vi lascio con un piccolo aneddoto: quando ero un ragazzino ogni domenica mattina avevamo un appuntamento fisso con alcuni amici.  Si portava una palla, si scavalcava un cancello e si andava a giocare. Avevamo un solo problema. Se si tirava la palla verso una porta troppo in alto, la palla andava a finire nella campagna/burrone dietro. La palla era impossibile da recuperare e finiva la partita.

Il primo giorno la palla andò sotto la campagna dopo 5 minuti di partita. Tristezza infinita per tutta la settimana. Bisognava anche convincere i genitori a ricomprarne un’altra.

La domenica successiva la palla andò nella campagna dopo 20 minuti. Iniziammo anche a prendercela tra di noi e con chi l’aveva mandata lì.

Dalla terza settimana con la stessa palla giocammo l’intero anno. Abbiamo dovuto aspettare che si rompesse per sostituirla.

La strada. Quella che ora non c’è più. Quella che ci ha imparato tutto ciò che siamo.

Sbagliando… Si Impara!

Stefano Primiterra

 

 

 

 

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